LUTTO PATOLOGICO

Il termine lutto indica il sentimento di dolore che si sperimenta per la perdita di una persona cara. In ambito psicologico il costrutto si riferisce ai sentimenti e agli stati mentali che generano sofferenza a seguito di accadimenti dal forte impatto psicologico e/o che determinano una modifica importante nella vita di una persona. Pertanto il lutto, in termini psicologici, può riferirsi, oltre che alla perdita di una persona cara anche alla perdita del lavoro, all’interruzione di un rapporto affettivo (separazione). L’elaborazione del lutto consiste nel processo di ricostruzione e organizzazione dell’esperienza attraverso l’individuazione di nuovi significati.  Di fronte alla perdita di una persona cara la persona progressivamente integra l’evento della morte all’interno della propria storia di vita, riconoscendo pian piano la realtà dell’avvenimento e ricostruendo una rappresentazione mentale della relazione/legame con il defunto e le emozioni ad esso associate. Progressivamente prende forma una narrazione della perdita all’interno della più ampia narrazione della propria vita e vengono ridefiniti ruoli e obiettivi (Pesci, 2014).

MODELLI DESCRITTIVI DELL’ ELABORAZIONE DEL LUTTO

John Bowlby (1980) si deve la prima formulazione sistematica del processo di elaborazione del lutto. L’autore individua quattro fasi, non lineari e universali, che caratterizzano il percorso psicologico di elaborazione della perdita.

1. FASE DELLO “STORDIMENTO”: caratterizzata dalla prima e immediata reazione di shock, incredulità e negazione; in questa fase la persona che apprende la notizia della perdita può manifestare una calma innaturale che si alterna a scoppi di rabbia o intenso dolore. L’individuo pur avendo riconosciuto cognitivamente l’evento, emotivamente lo rifiuta.

2. FASE DELLO “STRUGGIMENTO”: caratterizzata dal dolore psichico che si manifesta in occasione della partecipazione al funerale; di fronte al “decesso pubblico” si hanno tipicamente le reazioni di ansia, rabbia, pianto, struggimento e ricerca del defunto. La frustrazione conseguente all’impossibilità del ricongiungimento genera rabbia che si può manifestare contro se stessi, contro altri o contro il defunto.

3. FASE DELLA “DISORGANIZZAZIONE”: caratterizzata dalla consapevolezza che il defunto non potrà più tornare che determina sentimenti di forte tristezza (depressione), disperazione e apatia. Si verifica una vera e propria disorganizzazione cognitiva emotiva e comportamentale. La persona tende a distanziarsi da amici e parenti e inizia a riconsiderare se stessa e la propria situazione.

4. FASE DELLA “RIORGANIZZAZIONE”: caratterizzata dall’accettazione della perdita e dalla sua integrazione all’interno della narrativa di vita; la persona ripristina la sua funzionalità personale e sociale riorganizzando la propria vita (ruoli e obiettivi).

Un altro modello accreditato e molto utilizzato per descrivere le varie fasi dell’elaborazione del lutto è quello di Elisabeth Kübler-Ross (1969). L’autrice delinea un modello a cinque fasi che possono alternarsi e ripresentarsi più volte, con diversa intensità e senza un ordine preciso.

  1. Fase della negazione o del rifiuto: la persona rifiuta come meccanismo di difesa la notizia della morte o della malattia.
  2. Fase della rabbia: la persona manifesta emozioni forti di rabbia e paura che esplodono anche verso gli altri. Mentalmente c’è un forte senso di inaccettazione e ingiustizia.
  3. Fase della contrattazione o del patteggiamento: la persona comincia a mediare con le richieste esterne cercando delle strategie per riparare lo stato di perdita.
  4. Fase della depressione: la persona comincia a prendere consapevolezza della perdita e della sua irreparabilità per cui la negazione e la rabbia vengono sostituite da un forte senso di sconfitta.
  5. Fase dell’accettazione: la persona a seguito dell’elaborazione della perdita e dell’attribuzione di nuovi significati giunge all’accettazione e alla consapevolezza più profonda di quanto accaduto. In tale fase le emozioni di rabbia e di tristezza si riducono notevolmente.

I limiti delle teorie a fasi è non tenere in considerazione il contesto all’interno del quale avviene il lutto. I fattori personali interagiscono con quelli contestuali non permettono di seguire uno schema standard. Pertanto, piuttosto che utilizzare modelli del lutto a fasi è preferibile evidenziare i processi cognitivi connessi alle risposte al lutto.

A tal proposito, Archer ha preso in esame specifici processi mentali caratteristici del lutto:

Pensiero controfattuale: consiste nella simulazione mentale di come certi eventi avrebbero potuto svolgersi nel passato secondo uno schema del tipo “se solo…allora”;

Attribuzioni causali: riguardano al spiegazione sul perché la persona è deceduta e possono enfatizzare cause interne, come il suo comportamento, o quelle esterne, come il destino;

Pensieri intrusivi: pensieri concernenti la perdita che vengono alla mente in modo involontario e ripetuto, possono facilitare le allucinazioni;

Allucinazioni: la difficoltà ad accettare e comprendere la perdita può indurre la percezione della presenza del defunto sotto forma di apparizioni visive o stimoli uditivi;

Sviste o errori: quando la mente è così impegnata nel pensare al defunto, il controllo conscio delle azioni tende ad essere minore.

IL LUTTO COMPLICATO O PATOLOGICO

Il lutto complicato o “non risolto” è definito come una reazione al lutto che esula in termini di durata e/o intensità da quello che ci si potrebbe aspettare sulla base della cultura e società di appartenenza. Comprende un set di sintomi riguardanti il desiderio che il defunto possa essere ancora in vita, sofferenza, difficoltà a riprendere le attività abituali, solitudine, vuoto esistenziale e deterioramento nel funzionamento psicosociale. Ha sintomi simili alla depressione ma se ne differenzia poiché tali sintomi non sono pervasivi come nella depressione. Ha sintomi simili al DSPT, tuttavia l’emozione primaria non è la paura ma la tristezza, gli incubi sono più rari e i ricordi più pervasivi e meno legati all’evento specifico.

Criteri diagnostici proposti da Horowitz

  1. La persona ha vissuto una perdita di una persona cara almeno 14 mesi prima.
  2. Nell’ultimo mese la persona ha esperito almeno tre dei seguenti sette sintomi con una tale gravità da compromettere il suo funzionamento quotidiano:

Sintomi intrusivi:

  1. ricordi o fantasie intrusive in relazione al legame perduto;
  2. sensazioni di sofferenza acuta collegate alla relazione perduta;
  3. desiderio angoscioso che il defunto possa essere ancora in vita.

Sintomi di evitamento e fallimento nell’adattamento:

  1. sentimenti di solitudine e vuoto esistenziale;
  2. evitamento degli stimoli associati alla perdita come persone, luoghi, attività;
  3. disturbi del sonno;
  4. perdita di interesse nel lavoro, attività sociali, ricreative.

Il lutto complicato o lutto patologico si configura dunque come uno stato duraturo e intenso di dolore che “blocca” l’individuo interrompendo la sua esistenza. Esso è frutto del fallimento del processo di naturale fronteggiamento ed elaborazione della perdita.  Esiste un naturale bisogno di ristabilire e ricreare un senso di coerenza tra il mondo di prima (pre-perdita) e quello attuale (post-perdita). La perdita di una persona cara mette alla prova le credenze di base minando il senso di coerenza dell’auto-narrazione. In generale, gli individui possono risolvere l’incongrenza tra la perdita e il loro sistema di credenze (coerenza narrativa) attraverso due processi di ricostruzione di significato (Neimeyer, 2006):

  1. Assimilare l’esperienza della perdita all’interno del loro sistema di convinzioni pre-perdita e nelle loro auto-narrazioni, mantenendo una sostanziale coerenza con chi erano prima (Janoff-Bulman, 1992; Park e Folkman, 1997);
  2. Adattarsi all’esperienza della perdita riorganizzando, approfondendo o ampliando le loro credenze fondamentali e la loro auto-narrazione per inglobare la realtà della perdita.

L’eventuale fallimento di questi processi di costruzione del significato si associa con reazioni di lutto complicato (Neimeyer, 2002). Pertanto, attribuire nuovi significati a ciò che si sta vivendo consente di mantenere una auto-narrazione significativa, “una struttura cognitivo-affettivo-comportamentale che organizza le ‘micro-narrazioni’ della vita quotidiana in una ‘macro-narrazione’ che consolida la nostra auto-comprensione, stabilisce la nostra caratteristica gamma di emozioni e di traguardi e guida la nostra rappresentazione sul palcoscenico del mondo sociale” (Neimeyer, 2004, pp.53-54). La ricerca di senso è la chiave della salute mentale (Frankl, 1992).

Dunque, nel lutto complicato la persona non riesce ad integrare l’evento della morte all’interno della propria vita, non si verifica una piena accettazione della perdita. Come sostiene Neimeyer (2006), l’individuo sa che la persona amata non c’è più ma ancora non riescono a crederci. Ciò determina forti sentimenti di nostalgia, tristezza, rabbia; pensieri, immagini e ricordi del defunto che pervadono costantemente la mente e non diminuiscono, per intensità e frequenza, con il passare del tempo. Tale condizione mentale rende difficilissimo se non impossibile immaginare che la propria vita abbia un senso e uno scopo anche in assenza della persona defunta; ne deriva che la gioia e la soddisfazione per la vita sembrano andate perse per sempre (Pesci, 2014). I fattori che interferiscono con il processo di elaborazione possono essere rintracciati nelle caratteristiche di personalità, nella natura del rapporto con il defunto, nelle circostanze della morte o in quelle verificate successivamente ad essa.

FATTORI CHE POSSONO COMPLICARE L’ELABORAZIONE DEL LUTTO

  1. Assistenza prolungata e impegnativa: assistere in modo impegnativo e prolungato una persona malata può complicare l’elaborazione del lutto. Al contrario, il “lutto anticipatorio” ha una funzione adattiva, cioè quella di preparare le persone al distacco (es. morte seguita da un periodo di malattia).
  2. Morte improvvisa: la morte inaspettata è uno dei fattori che più frequentemente rende il lutto difficile da elaborare; esso spesso è associato ad un altro fattore la violenza.
  3. Morte violenta: la morte ad esempio per omicidio, suicidio o incidente stradale, generano forti sensi di colpa e attribuzioni di responsabilità soprattutto se la persona sopravvissuta ha partecipato all’evento che ha portato alla morte.
  4. Relazione non riconosciuta con il defunto: le situazioni nelle quali il legame con il defunto non è riconosciuto rendono difficile elaborare il lutto. Ad esempio relazioni extraconiugali o omosessuali oppure aborti, morti perinatali, bambini troppo piccoli ai quali non è riconosciuta la capacità di stare in lutto, ecc.

I fattori che incidono sull’intensità della reazione emotiva al lutto sono:

  1. IMPREVEDIBILITA’: la morte improvvisa impedisce di prepararsi all’attuazione di strategie di coping adeguate.
  2. ETA’ DELLA VITTIMA: è il maggior predittore di sintomi quali rabbia/ostilità, senso di colpa, impotenza, ruminazione, somatizzazione esperiti dai familiari.
  3. PERCEZIONE DI EVITABILITA’: la percezione dell’evitabilità dell’accaduto contribuisce a problematiche nell’adattamento al lutto.
  4. CONDIZIONI DEL CORPO: la condizione del corpo (deturpato, mutilato, ecc.) ha un impatto negativo sull’adattamento dei familiari al lutto indipendentemente dall’intenzionalità dell’evento (omicidio/suicidio vs incidente) e dalla responsabilità dei soggetti (omicidio vs suicidio).
  5. MORTE VIOLENTA: le morti traumatiche o violente sono vissute come non naturali e pertanto difficili da spiegare (senso), per tale motivo i familiari sono più a rischio di DSPT. Omicidio e suicidio sono morti violente che elicitano patterns specifici nei familiari: sentimenti di responsabilità e di colpa, vergogna e stigmatizzazione e aspettativa di rifiuto sociale, bias del senno di poi “forse avrei potuto fare qualcosa per evitare”. I familiari di persone uccise (omicidio) potrebbero trovarsi esposti a una copertura mediatica eccessiva, le relazioni sociali (supporto sociale) durante il lutto potrebbero non essere disponibili se l’omicida è un parente o conoscente, i familiari potrebbero farsi sopraffare da sentimenti di rabbia, vendetta o paura quando cercano di comprendere i moventi, infine, si trovano a interagire con il sistema di giustizia in fasi di intenso dolore.

LE TRAIETTORIE DEL LUTTO

  1. Lutto comune: dal 50 all’85% delle persone. Riguarda reazioni molto frequenti presenti dai primi mesi fino alla fine del primo anno: disorganizzazione cognitiva, difficoltà nell’accettazione della perdita, nella concentrazione e nella presa di decisioni, disforia, problemi di salute (somatizzazione), funzionamento sociale e lavorativo deteriorati ma anche vissuti positivi come la sensazione progressiva di riappropriarsi della propria vita.
  2. Lutto minimo: dal 15 al 50% delle persone, si associa ad esiti di resilienza.
  3. Lutto cronico: il 15% delle persone dopo i 2 anni dalla perdita mostra un quadro sintomatologico disfunzionale con la presenza di disturbi come la depressione maggiore, il DSPT o il lutto complicato.

Stroebe evidenzia che la relazione tra perdita ed esiti sulla salute è mediato dalla valutazione dell’evento e dalle strategie di coping. L’autore ha elaborato un modello sui fattori di rischio e di protezione nell’adattamento al lutto:

  • I fattori protettivi sono: le risorse personali (ottimismo, autostima, locus of control interno e attaccamento sicuro) e sociali (sostegno sociale, accesso a servizi, gruppi di sostegno, contesto culturale e religioso, aiuti materiali, la qualità delle relazioni familiari).
  • I fattori di rischio sono: età minore, disturbi mentali, perdita di un genitore nell’infanzia.

STRATEGIE DI COPING NEL LUTTO

Il modello duale sul coping nel lutto di Stroebe e Schut include due tipi di risposte di coping nei confronti della perdita:

  1. Confronto Attivo: riguardanti il confronto con la perdita, il dolore, i pensieri intrusivi, la costruzione di un significato. La risposta di coping coincide con l’elaborazione della perdita. Orientamento alla perdita, lavoro di elaborazione del lutto, allentamento graduale del legame con la persona morta, valutazione e attribuzione di significato alla perdita.
  2. Evitamento: strategie di coping finalizzate all’evitamento, alla soppressione, alla distrazione nei confronti della perdita; inizialmente sono adattive perché permettono di ricostruire aspetti della propria vita, recuperare il senso delle cose, l’identità, apprendimento nuove abilità. Orientamento al recupero, focus sui cambiamenti di vita, evitamento, negazione, soppressione e distrazione nei confronti della perdita aiutano ad acquisire nuovi ruoli, identità e attività.

Alcune strategie di coping utilizzate da chi vive un lutto si sono dimostrate disfunzionali ai fini di una buona risoluzione del lutto, predisponendo allo sviluppo di un lutto complicato. Come ad esempio:

  • Continuing bonds coping: modalità di fronteggiamento volte a mantenere un legame con la persona deceduta, come la ricerca della presenza della persona nella vita quotidiana (guardare continuamente le foto) e dialoghi interiori (parlare con il defunto) i quali si associano ad esiti negativi nel corso del lutto.
  • Ruminative coping: pensare o parlare in modo ripetitivo della perdita e delle emozioni negative da essa derivanti; ruminazione mentale centrata sui pensieri negativi alimenta emozioni dolorose e interferisce con le abilità di problem solving e la capacità di portare a termine compiti quotidiani.
  • Coping repressivo: evitamento delle emozioni negative anche se nelle fasi iniziali del lutto può essere funzionali in termini di coping centrato sull’evitamento se si protrae è disfunzionale poiché impedisce l’elaborazione emotiva del lutto.

Diversamente, la ricerca di significato, volta ad attribuire un significato per l’evento (ad esempio trovare la spiritualità) rientra tra le strategie di coping adattive perché infondono speranza e voglia di continuare la propria vita.

TRATTAMENTO PSICOLOGICO DEL LUTTO

Gli interventi psicologici di aiuto nell’elaborazione del lutto possono essere di vario tipo: counseling, gruppi di auto-aiuto, sostegno psicologico e psicoterapia. Tali forme di trattamento sono finalizzate a favorire la capacità personale di affrontare il dolore per la perdita di una persona cara dovuta a morte o a separazione/divorzio.  L’obiettivo è riattivare le capacità di coping o fronteggiamento favorendo l’espressione delle emozioni negative (come la tristezza, l’ansia, la rabbia, la solitudine, il senso di colpa, la confusione, ecc.) e i pensieri / convinzioni legati alla perdita. Ciò consente l’individuazione di nuovi significati funzionali all’integrazione dell’evento nella trama narrativa del vissuto soggettivo con l’avvio di processi di cambiamento cognitivi e comportamentali che consentono di riorganizzare la propria vita.